Alla ricerca di un lampo di verità
Martin Schoeller è uno dei più importanti fotografi ritrattisti dei nostri tempi. La sua passione: i volti. Il suo stile: i close-up. I soggetti delle sue fotografie: da Barack Obama agli indios della foresta amazzonica. Al Nürburgring ha fotografato i piloti
Può un ritratto eternare l’essenza di una persona, magari addirittura catturarne l’anima? «No», dice Martin Schoeller, «i ritratti mentono sempre, in un certo qual modo. Una fotografia rappresenta solo la frazione di un secondo che il fotografo sceglie arbitrariamente, viene scattata da una persona che in teoria non conosce minimamente l’altra. Un ritratto, di solito, non ha molto in comune con la persona che ritrae». I primi piani di Schoeller, invece, sono decisamente diversi. Come ci riesce? Qual è la sua motivazione? «Sono sempre alla ricerca di un lampo di verità. Del volto vero. Il mio scopo principale non è che le persone vengano fuori bene, ma fare delle fotografie obiettive, perlomeno fotografie che mentano meno di altre. Per questo, lavoro per cogliere quell’attimo nel quale le persone sono pienamente presenti e rivelano un lato intimo di sé. Mi considero una sorta di cronista».
Lo «smascheratore impietoso», come la rivista tedesca Geo definisce il 48enne, non scatta semplici fotografie. Schoeller mette i suoi soggetti sotto la lente di ingrandimento. Legge i loro volti e crea ornamenti fotografici. Solitamente, prima di un servizio effettua intense ricerche, durante le quali studia i protagonisti, guardando film e talkshow o leggendo interviste. In questo modo spera di mettere in moto la sua fantasia, di avere un’idea concettuale e di avere abbastanza argomenti di conversazione durante lo shooting. «Quando un fotografo di ritratti smette di parlare, ha perso», ne è sicuro.
Le foto di Schoeller hanno un forte impatto mediatico
Spesso rimane sorpreso, positivamente, da tutto quello che divi e potenti sono disposti a fare davanti all’obiettivo: Bill Clinton ha giocato a golf nella stanza attigua allo Studio Ovale, Quentin Tarantino ha accettato di farsi mettere la camicia di forza e comici come Steve Carell di farsi coprire il volto con del nastro adesivo. Schoeller ha sempre quattro, cinque idee in testa per le sue foto e inizia sempre con quella più innocua. È il suo stratagemma. Quando l’atmosfera sul set è rilassata e la fiducia conquistata, tira fuori le idee più audaci. E molti protagonisti dicono di sì, perché sanno quale impatto mediatico può avere una foto spettacolare di Schoeller.
Alcuni, tuttavia, temono la vicinanza e l’intensità che questo artista della fotografia crea: la cantante Mariah Carey e l’attore Tom Cruise, ad esempio, hanno rifiutato. L’ex interprete di James Bond, Pierce Brosnan, lo ha invece appositamente chiamato per farsi fotografare da lui. Spesso i suoi soggetti stanno per ore dal visagista e poi rimangono solo pochi minuti per la sessione fotografica. È stato così con Lady Gaga e con Uma Thurman. Non le sue foto migliori. Oppure non riesce a cogliere l’essenza autentica di chi gli si mette di fronte in posa: «George Clooney è uno di questi. È sempre gentile, divertente, dice di sì a tutto, ma con lui non sono mai riuscito a cogliere quel lampo di verità, perché lui rimane sempre in posa». Durante un servizio con l’affascinante attore hollywoodiano, Schoeller lo ha colto di sorpresa. Ha strappato naso e occhi da uno dei primi piani da lui fatti in passato a George Clooney, vi ha attaccato un elastico e li ha messi sul volto di Clooney a mo’ di maschera. Clooney si è divertito a farsi ritrarre così e la foto ha fatto il giro del mondo. Nel suo ministudio dalle tende nere e sorprendentemente semplice ha già accolto, oltre a diversi divi hollywoodiani, anche Taylor Swift, Justin Timberlake e Iggy Pop. E svariati politici come Barack Obama, Hillary Clinton e Angela Merkel. Il celebre fotografo sa qual è l’effetto del potere sulla mimica facciale.
Addirittura famosi professionisti del mondo dello sport, come Pelé, Franz Beckenbauer, il velocista Usain Bolt e il calciatore Lionel Messi, sanno come ci si sente durante un incontro ravvicinato con l’obiettivo di Schoeller. Tuttavia, Schoeller non aveva ancora mai fotografato degli atleti durante o immediatamente dopo una competizione, quando i loro volti esprimono tensione o sollievo, gioia o frustrazione. Sapeva però che l’adrenalina acuisce l’espressione del volto.
Lo sguardo dietro la facciata
Schoeller, nato a Monaco, cresciuto a Francoforte e da quasi un quarto di secolo residente a New York, ha studiato fotografia presso la scuola Lette Verein di Berlino, ha lavorato per quattro anni a New York come assistente di Annie Leibovitz, forse la più famosa artista della fotografia della nostra epoca, e per dodici anni è stato sotto contratto come fotografo presso il New Yorker, per il quale lavora ancora oggi, oltre a collaborare regolarmente anche con Time, National Geographic, Rolling Stone, GQ e Forbes. Per i close-up, il suo segno distintivo, il celebre fotografo utilizza della luce al neon morbida, grazie alla quale risultano i caratteristici occhi dall’aspetto felino. La prospettiva è sempre la stessa: un po’ dal basso. Così è diventato uno dei più importanti ritrattisti dei nostri tempi.
Quest’anno Schoeller è andato alla 24 Ore di Le Mans. Era la sua prima volta su un circuito. «Volevo sentire, capire e vivere in prima persona quello che succede lì. Quanto stanchi sono i piloti dopo la gara, quanto delusi se perdono e quanto euforici se vincono». Che faccia ha un pilota quando si toglie il casco a fine gara? Cosa rivelano i suoi occhi? Che effetto hanno tensione, stress, concentrazione sui suoi 43 muscoli facciali? Come cambia il colorito del suo volto? Nel cockpit della
Lì, al leggendario Circuit de la Sarthe, dove lo scorso 19 giugno
In questa giornata di gara, i sei piloti
I piloti sono presenti, aperti e davanti all’obiettivo rivelano effettivamente un lato intimo di sé. «I loro sguardi sono interrogativi, curiosi, decisi, riflettono l’intensità della gara. In ciascuno si legge l’andamento della corsa», riassume il fotografo che, tra uno shooting e l’altro, segue la corsa al monitor, nel truck. «Un pilota è scocciato perché ha ricevuto dei secondi di penalità per un contatto in gara, un altro ha effettuato un sorpasso guadagnando 4 secondi ed esulta interiormente. E già pochi attimi dopo l’ultimo cambio pilota, nel quale ha lasciato il volante a Timo Bernhard, il sorriso del vincitore attraversa il volto spossato di Webber».
Dal circuito si sente il ruggito dei motori. Fan a caccia di autografi aspettano i loro idoli davanti ai box. Un esausto Timo Bernhard, dopo il suo secondo turno in gara e davanti all’obiettivo di Schoeller, vuole essere sicuro: «Adesso abbiamo proprio finito, vero? Promettimelo!» Schoeller sorride, gli stringe la mano e con la sinistra gli dà una pacca sulla spalla: «Sì, abbiamo finito. Tutto bene. Molto bene».
Testo Jörg Heuer
Fotografie Martin Schoeller